Open data è… la mappa dei suoni di una città (Firenze)


Questa è una storia di innovazione che viene da Firenze e tratta di open data e beni culturali. Niente di nuovo, direte: Firenze è piena di beni culturali.
La sola Galleria degli Uffizi, per dirne una, ne trabocca letteralmente e lei stessa, il contenitore, assieme al resto del centro storico, è un pezzetto del patrimonio dell’umanità UNESCO che tutti conoscono. E statue, quadri, palazzi, campanili, chiese si susseguono ad ogni angolo di strada in una continuità spazio-temporale davvero impressionante. E poi le stesse strade, di per sé, gli edifici, gli spazi urbani. Ce ne è da benedire e santificare, così tanto da rimanerne rapiti e disorientati: la “Sindrome di Stendhal”, d’altro canto, è chiamata anche “Sindrome di Firenze”.
Invece qualcosa di nuovo c’è e non si tratta della solita APP (per quanto, magari, favolosa) di geolocalizzazione, realtà aumentata, viedoguida e chi più ne ha più ne metta. È qualcosa di nuovo che viene con la storia di Antonella Radicchi che, in mezzo a tanta abbondanza potentemente tangibile, è andata a cercare qualcosa di assolutamente immateriale ma egualmente importante.
Una città come Firenze, per quanto bellissima, non è niente senza la sua anima. Anzi, resta poco più di stupendo centro commerciale dove gli showroom si snodano tra incredibili palazzi medievali e rinascimentali anziché in mezzo alle scale mobili e agli hangar tutti acciaio e cristallo.

L’anima, il tessuto connettivo che dà senso alle cose, il valore aggiunto che accende la scintilla, è qualcosa di immateriale eppure vero, vivo, presente.
L’UNESCO con una Convenzione Internazionale del 2003 si è occupata di questo aspetto parlando di “Patrimonio culturale immateriale”. Si tratta di un qualcosa di costantemente vissuto e ricreato dalle comunità in stretta correlazione con la loro città e la sua storia, qualcosa che permette ai gruppi e alle singole persone di elaborare dinamicamente il senso di appartenenza sociale e culturale al luogo dove vivono. Sono migliaia di cose, come saperi, tradizioni, modi di dire e di fare, odori, luci e anche suoni.
Antonella ci racconta di non avere un ricordo preciso di quando abbia iniziato a riflettere sul rapporto che sussiste tra suono e città. Una sensibilità particolare che si è andata precisando durante gli anni trascorsi alla Facoltà di Architettura di Firenze. Ogni città ha una sua colonna sonora, anzi ogni singolo luogo, piazza, strada, ne ha una.
Vedere la scena di un film, lo sappiamo, può dare emozioni radicalmente diverse a seconda di ciò che, guardando, si viene ad ascoltare. Così ogni scena dello spazio urbano ha suoni che ne caratterizzano la vita, al pari di altri aspetti. Questi suoni, come succede nei cinema, hanno un ruolo altrettanto forte di quello dovuto alla sollecitazione visiva. E tutto cambierebbe se, magari di colpo, l’audio sparisse, lasciando magari il posto a  rumori, stimoli e vibrazioni diverse.
Antonella, nel 2007 parte per gli Stati Uniti dove segue un anno di dottorato come PhD visiting student al City Design and Development Lab del MIT e partecipa al workshop Digital City Design. È un flash che imprime una svolta decisiva al suo percorso di ricerca. Trova il coraggio a quattro mani e propone un progetto di riqualificazione dell’Oltrarno fiorentino, intervenendo sugli aspetti immateriali e sensoriali legati appunto al paesaggio sonoro. Trova un entusiasmo e un incoraggiamento che la lasciano incredula: la passione segreta diventa il tema centrale del suo dottorato.

Al rientro in Italia inizia a lavorare a una mappa sonora “tenera” di Firenze.
Una rappresentazione della geografia emozionale della città attraverso frammenti del paesaggio sonoro fiorentino. Non la solita “mappa sonora tipologica” (autobus, martello pneumatico, tram, folla), come la maggior parte di quelle che si trovano in Internet, ma un affresco degli aspetti più nascosti che il suono è capace di trasmettere anche in assenza di immagine visiva.

Ma c’è di più. Proprio perché le emozioni sono soggettive, una sola persona non basta, bisogna aprirsi alla collaborazione di chi ci vuole stare. La mappa sonora tenera diventa piattaforma crowdsourcing e il lavoro è collettivo. L’idea si sviluppa e porta ad Antonella una serie di riconoscimenti  quali il Premio INU 2010 come miglior tesi di dottorato in Urbanistica e il Premio Ricerca Città di Firenze 2011.
Non sono stati i premi, tuttavia, ma proprio le emozioni che questo lavoro trasmette, che ci hanno fatto chiedere ad Antonella di replicare i suoi dati sulla piattaforma Open data del Comune di Firenze e di farlo aprendo una nuova sezione sui “Beni culturali immateriali”. È il primo dataset pubblicato tra i nostri dati aperti, prodotto direttamente da un cittadino ed è anche il primo intrinsecamente aperto a una partecipazione diretta della Città. Aspettiamo difatti i contributi per la costruzione di quella “mappa sonora collettiva” che sta alla base della sua idea.
Ciascuna delle icone sulla mappa della città apre il collegamento con una foto evocativa del luogo e una registrazione del paesaggio sonoro. E poi c’è una intera sezione, adesso, da integrare con nuove idee. Tutte immateriali ma molto concrete.
Firenze, 16 febbraio 2013
GIOVANNI MENDUNI

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