Il giorno dopo la roboante Ipo di Facebook siamo diventati tutti esperti di economia. Se non altro per capire se dietro la danarosissima offerta iniziale in Borsa non ci sia la solita dot.com sopravvalutata (e destinata a scoppiare) o se invece siamo di fronte a un caso più unico che raro che va trattato coi guanti.
Tutti d’accordo – ovviamente – nel sostenere che Facebook meriti un’attenzione particolare per via del suo straordinario bacino di utenti. Non è un caso che nei documenti presentati alla Consob americana da Zuckerberg e soci il dato relativo all’utenza sia stato più e più volte sottolineato. In fondo se fossero radunati in un unico territorio, gli 845 milioni di iscritti (che diventeranno 1 milione da qui alla prossima estate) sarebbero la terza nazione del Pianeta, dopo India e Cina.
Sarebbe però riduttivo fare di Facebook un semplice fenomeno demografico. Che gli utenti, da soli, non fanno la felicità, almeno su Internet. C’è qualcosa di più. C’è ormai un vero e proprio ecosistema che brilla di luce propria.
Facebook mi ricorda un po’ quei complessi residenziali nei quali il cittadino ha tutto ciò che gli serve nel raggio di pochi metri: il panettiere, il parrucchiere, la banca, il parco giochi, tutto attaccato a casa. Ecco. Mark Zuckerberg ha avuto il merito di dare ai suoi utenti tutto ciò di cui hanno bisogno per sbrigare le loro faccende digitali, senza bisogno di andarle cercare altrove. C’è la posta elettronica, la chat, la video chat, ci sono le foto, i video, la musica e ovviamente i contenuti, quelli generati dagli utenti e quelli linkati dal resto del Web. Non mi sorprenderei se il prossimo step fosse un vero e proprio motore di ricerca, un piccolo Google calato nella realtà del social network. Del resto, se ogni utente trascorre in media 25 minuti al giorno nello stesso posto (in Italia sono addirittura 55) un motivo ci sarà.
Per arrivare a diventare quel microcosmo che è, gli informatici che oggi lavorano a Menlo Park hanno fatto uno straordinario lavoro di integrazione fra la piattaforma e il resto dei servizi e delle applicazioni presenti in Rete. Come dire che oltre ad aver messo in contatto fra di loro quasi un miliardo di utenti, Facebook ha avuto il merito di collegare al suo interno molti tasselli del Web. Utilizzando dei meccanismi incredibilmente semplici.
Perché è vero che molte delle cose che oggi facciamo su Facebook potevamo farle anche prima. Ma con il doppio, il triplo della “fatica”. Pensiamo ad esempio a quello che facevamo qualche anno fa quando volevamo condividere un video con i nostri amici: copiavamo la stringa dell’Url del filmato, aprivamo la posta elettronica, selezionavamo uno per un uno i contatti cui inviare il filmato e incollavamo il link nel campo di testo. Oggi basta premere un tasto e il gioco è fatto. C’est plus facile.
Così chi vi dice che Zuckerberg e soci si stanno arricchendo sfruttando le nostre vite digitali e ciò che di buono hanno fatto gli “altri” in Rete vi dice una mezza verità. Perché se è vero che senza i suoi utenti e senza il resto del Web Facebook sarebbe poco più che uno scatolotto vuoto, è innegabile che le dinamiche e i meccanismi con cui ciascuno di noi interagisce nel Web sono state rivoluzionate da questo social network creato quasi per gioco da un paio di adolescenti al college. Per questo ci piace stare dentro quel giardino recintato per molti, molti minuti al giorno. Coltivandoci all’occorrenza anche zucche, peperoni e pomodori.
Quanto varrebbe tutta quanta la Rete se fosse quotabile in borsa? Impossibile dirlo. Di certo Facebook è ciò che più si avvicina all’essenza stessa del Web. Un vero e proprio concentrato della nostra vita online. Ed è per questo che qualcuno è disposto a investirci i miliardi.
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