Fondi di energia, quelli del caffè

Vi state facendo un buon caffè? Bene! State buttando via
i fondi del caffè? Male! Sono preziosissimi. Da poco si
è scoperto che possono essere riciclati e possono rivivere
sotto forma di cosmetici o di biocombustibile.

Un gruppo di ricercatori romani ha scoperto che dai fondi del
caffè è possibile estrarre dei polifenoli, cioè
delle sostanze naturali con spiccate proprietà antiossidanti,
che potrebbero essere utilizzati nell'industria cosmetica
e non solo.


Roberto Lavecchia e Antonio Zuorro, del Dipartimento
di Ingegneria Chimica dell’Università di Roma “La
Sapienza”, hanno recentemente sviluppato un procedimento
innovativo che utilizza la polvere di caffè esausto per
produrre composti bioattivi ad alto valore aggiunto e un residuo
suscettibile di ulteriore valorizzazione.

Il processo sviluppato ne prevede invece l’uso come materia
prima, a costo praticamente nullo, per ricavarne una miscela di
polifenoli e un residuo inerte utilizzabile in campo energetico
o per la depurazione delle acque.


Ci facciamo spiegare tutto da Antonio Zuorro, l'ingegnere che
ha condotto lo studio. Ascolta
l'intervista!


Per le loro spiccate proprietà antiossidanti i polifenoli,
o composti fenolici, sono già da tempo utilizzati nel
settore farmaceutico, cosmetico e dietetico-alimentare
. La
possibilità di ottenerli da una materia prima di scarto,
quali sono i fondi di caffè, potrebbe aprire nuovi interessanti
scenari di sviluppo e di mercato.

La produzione mondiale di caffè supera i 6 milioni di tonnellate
annue e tale cifra rappresenta, in prima approssimazione, i quantitativi
di rifiuto solido complessivamente prodotti. Le fonti di generazione
di questa tipologia di rifiuto sono molteplici: le industrie produttrici
di caffè solubile, il comparto della ristorazione (bar,
ristoranti, mense), le utenze domestiche e i luoghi di lavoro
dove si utilizzano macchine automatiche per il caffè.

L’impiego di queste macchine comporta anche la dispersione
nell’ambiente delle capsule monodose (in polipropilene e/o
alluminio) in cui è contenuto il caffè.

Un primo dato interessante che è emerso nel corso delle
ricerche è l’elevato contenuto di composti fenolici,
che ne giustifica ampiamente il recupero dallo scarto.

Successivamente si è passati all’individuazione delle
condizioni ottimali del processo di estrazione di questi composti
e alla scelta di un solvente estrattivo che fosse al tempo stesso
efficiente e non tossico o nocivo per l’ambiente. Impiegando
un solvente formato da acqua ed etanolo (il comune alcol presente
nei vini e nei distillati di uva) è stato possibile recuperare
tra il 90 e il 95% dei polifenoli totali presenti nel rifiuto.
Il solvente, inoltre, può essere completamente recuperato
al termine dell’estrazione e riutilizzato in ciclo chiuso,
e in tal modo il processo non genera nessun tipo di rifiuto o
di effluente da smaltire. E’ stato anche appurato che gli
estratti ottenibili con tale procedimento sono dotati di un’elevata
capacità antiossidante, superiore a quella di numerosi
antiossidanti sintetici.

Il residuo solido inerte che rimane dopo l’estrazione dei
composti fenolici possiede un altissimo potere calorifico, superiore
a quello di legni pregiati. Ciò lascia intravedere la possibilità
di realizzare un processo integrato in cui l’estrazione dei
polifenoli dalla polvere

di caffè è seguita dalla produzione di un biocombustibile,
in forma di pellets o di bricchette, utilizzabile per riscaldamento.

Lo stesso gruppo di ricerca sta valutando soluzioni alternative
di impiego e valorizzazione del residuo inerte. Un’interessante
possibilità è costituita dalla realizzazione di
dispositivi per la rimozione di metalli pesanti da acque contaminate.
Il solido che si ottiene al termine del processo di estrazione
dei polifenoli si è rivelato, infatti, un ottimo adsorbente
nei confronti di piombo
, cadmio, ferro e altre specie metalliche.

Il problema del piombo nell’acqua potabile è legato
alla presenza ancora diffusa di tubazioni e strutture in piombo.
Col passare del tempo questo metallo si solubilizza nell’acqua
e tramite l’acqua viene introdotto nell’organismo, dove
si accumula dando

luogo a disturbi del sistema nervoso e immunitario oltre che a
un alterato metabolismo del calcio. I bambini e i feti risultano
particolarmente a rischio, per la maggiore facilità con
cui il loro organismo assorbe il piombo.


di Mariachiara Albicocco - Moebiusonline

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