di Marco Minghetti
Nel momento in cui scrivo ho più di 800 amici su Facebook. Sono presente qui
da circa un anno, partecipo all’attività di diversi gruppi, pubblico
regolarmente materiali sulla mia bacheca, interagisco con molte persone anche
utilizzando il servizio mail soprattutto per motivi professionali. Questo per
chiarire fin da subito che io Facebook lo uso e credo sia un mezzo che non ha
ancora dispiegato tutte le sue reali potenzialità. Vorrei tuttavia mettere in
luce la “dark side” del Fenomeno Facebook, il potenziale rischio che ne sottende
un uso acritico, riprendendo alcune riflessioni proposte nel
centoventiquattresimo Episodio de Le Aziende In-visibili.
L’Analogico e il Digitale, questo il titolo dell’Episodio, è incentrato su
un dialogo fra la Psicologa Sintetica della omnipervasiva Corporation,
all’interno della quale è ambientato il romanzo, e il Direttore del Personale
Sam Deckard. La donna racconta delle battaglie che ha dovuto sostenere la
Corporation per mantenere la sua supremazia nel corso del tempo. Analogamente
alla “Teodora” de Le Città Invisibili di Italo Calvino (cui l’Episodio è
ispirato), assalita da condor, serpenti, mosche, termiti e tarli, la grande
azienda ha dovuto sgominare sempre nuovi nemici, ovvero modelli mentali ed
archetipi, che ne hanno minato le fondamenta.
Il Primo Nemico che la
Corporation ha dovuto affrontare è nato quando Magritte ha messo in evidenza la
necessità di uno spazio fra la realtà e la sua rappresentazione.
“Vede
Deckard -mi diceva, sferruzzando all’uncinetto mentre ondeggiava placidamente su
una sedia a dondolo- invasioni ricorrenti hanno travagliato la Corporation nei
secoli della sua storia; a ogni Nemico sgominato un altro prendeva forza e ne
minacciava la sopravvivenza. Naturalmente non parlo di aggressioni fisiche, ma
spirituali. Di modelli mentali, di schemi cognitivi, di archetipi che nel corso
del tempo hanno minato le fondamenta della nostra azienda. Uno degli assalti più
formidabili fu sferrato da Magritte. Tutti conosciamo quel dipinto che
rappresenta una pipa e in cui nello stesso tempo ci si dice: «Questa non è una
pipa». Veramente ha ragione il quadro: ciò che ha disegnato Magritte non è una
pipa, ma una sua rappresentazione.”
“Magritte indica lo spazio fra oggetto e
rappresentazione: lo spazio dell’arte.”
“Esatto. Capisce la pericolosità
dell’assunto. Se accettassimo anche in azienda l’idea che ogni procedura, ogni
best practice, ogni organigramma è interpretabile individualmente, dove andremmo
a finire? Sarebbe il caos”
“Dunque?”
La psicologa ribadisce il rischio
dell’interpretazione individuale nel contesto aziendale (metafora di quello
politico-sociale più ampiamente inteso), poiché se ogni organigramma, ogni best
practice, ogni ordine di servizio fosse suscettibile di valutazione e quindi di
critica da parte della singolarità, il modello “perfetto” ed univoco dello
scientific management su cui la Corporation si regge verrebbe messo in
discussione e la sua rigidità intrinseca si rivelerebbe fatale.
La soluzione
proposta dal fordismo che la Psicologa rappresenta è appunto quella di abbattere
il Nemico tramite il “real-time”, ossia la sincronizzazione del tempo che ha la
meglio sullo spazio dell’arte. La Corporation si propone di sovvenzionare
artisti a patto che le loro opere riproducano nei minimi particolari il reale.
Presentandolo senza rappresentarlo.
“Dunque la Corporation ha reagito
creando l’Istituto Mondiale per l’Arte Contemporanea. Grazie agli ingenti
investimenti profusi, l’Arte sostanziale di un tempo, che si esprimeva
attraverso l’architettura, la musica, la scultura, ha subito una progressiva
deriva verso un’Arte meramente accidentale che ha sconvolto le forme della
rappresentazione degli oggetti e dei fenomeni, a favore di una loro immediata
presentazione, in cui un tempo superficiale, il real time, sincronico ed
immediato, ha definitivamente la meglio sullo spazio, lo spazio profondo,
diacronico, sostanziale ed immaginario delle grandi opere d’arte, sia letterarie
che plastiche. Quando l’artista contemporaneo, da noi sovvenzionato, realizza,
poniamo, una still life della propria camera da letto non reinventandola
immaginificamente, come Van Gogh, ma riproducendola, con una installazione, nei
minimi dettagli, specie i più sordidi, uccide lo spazio della creatività.
Poiché, appunto, la presenta senza rappresentarla. Contribuisce così alla
affermazione di un modello mentale coerente con il dogmatismo monodimensionale
dello scientific management.”
Non potevo credere alle mie orecchie. Gettai
uno sguardo al manichino, quasi a verificare quale fosse la sua opinione circa
la sanità mentale dell’autrice di quelle poco sensate dichiarazioni. Immerso
nella vista degli edifici urbani che apparivano fuori dalla finestra, silenzioso
ed ineffabile, non mi sembrò propenso ad esprimersi in merito."
Il
Secondo è più potente Nemico della Corporation è sorto dall’affermazione della
New Economy prima e della Wikinomics, poi.
“Sgombrato il campo dall’Arte
Moderna, la Corporation dovette affrontare un nuovo nemico: l’avvento di
Intranet e della realtà virtuale. Imprevedibili nuovi spazi per l’espressione
personale e la fantasia si erano aperti. L’organizzazione del mondo, ovvero
della Corporation, per qualche attimo terribile, scricchiolò”.
Si interruppe.
Aveva finito la lana. Si alzò, aprì la vetrinetta di un armadio e afferrò un
gomitolo -‘o gnommero’, avrebbe detto mio nonno, che, secondo quanto raccontava
mio padre quando ero piccolo, usava assumerlo a mistico emblema del garbuglio
universale - che non era appoggiato ad alcun ripiano. “Dove sta il trucco?”, mi
chiesi, prima di accingermi ad ascoltare il seguito, per capire fino a che punto
la donna era andata fuori di testa.
Dopo essere tornata a sedere, riprese a
parlare. “Ma prendemmo ben presto le contromisure. Prima facemmo in modo che la
bolla della New Economy si gonfiasse a dismisura fino a scoppiare. Ecco il bel
risultato che si ottiene volendo guidare perdendo il controllo! Poi entrammo
direttamente in campo nemico. Cominciammo l’invasione dei mondi alternativi che
proliferavano in Rete. Già oggi, quelle che erano nate come realtà immaginarie,
sono sempre più riproduzioni digitali in scala 1:1 del nostro mondo. Ma
soprattutto stiamo brevettando un nuovo software che coniuga la potenza di
Google Earth e quella di una Playstation. Tramite questo software si può
entrare, poniamo, nel Taj Mahal, osservare i video professionali del 'National
Geographic' (o quelli dei turisti che lo hanno visitato), scoprire la storia nei
dettagli grazie a un collegamento diretto a Wikipedia e ad altri testi in
digitale 'caricati' accanto alle immagini (satellitari e non) del Taj Mahal.
Insomma, questo nuovo prodotto non permette solo di vedere i luoghi ma anche di
viverli”.
"E siamo solo agli inizi. Entro pochi anni nascerà qualcosa di
molto simile al Metaverso, descritto dallo scienziato Neil Stephenson nel saggio
'Snow Crash' del 1992, ormai un classico della letteratura tecnologica. Il
Metaverso era una città virtuale dalla dimensione di un pianeta, abitata da 120
milioni di avatar. Il mondo in 3D realizzato con il nostro nuovo software
richiamerà la visione prospettata da Stephenson, ma andrà anche assai oltre:
avrà lo stesso aspetto della realtà terrestre e funzionerà come piazza virtuale
e porta d'accesso per ogni tipo di informazioni. Sarà anche accessibile sia
attraverso le modalità immersive della realtà virtuale sia attraverso lo
'spioncino' dello schermo di un cellulare. In questo modo un avatar potrà
passeggiare tra le strade di Manhattan, assistere a un'opera all'interno della
riproduzione della Scala o aggirarsi per un safari nella savana insieme ad altri
avatar. Le Maldive saranno esplorabili dal divano di casa, così come gli scavi
di Pompei o il Louvre. Esperienze virtuali perfette, rappresentazioni identiche
in tutto e per tutto alla realtà diretta, lontane anni luce dalla irreale
grafica tridimensionale di adesso.”
“In uno scenario del genere, quindi, la
linea di separazione fra realtà e mondo virtuale sarà sempre più sottile.”
“Ambiti del Metaverso saranno sempre più strettamente ancorati alla vita
concreta del pianeta e riguarderanno tutte le attività. La gente si muoverà
senza soluzioni di continuità tra rappresentazioni del mondo vero e
rappresentazioni di mondi fantastici, fra i due, anzi, non ci sarà più
differenza”.
“State insomma eliminando il meraviglioso, l’immaginario,
l’onirico, il favoloso anche dagli schermi e dalle memorie dei computer.”
“Si, e per questo appoggiamo la deriva attuale del social networking:
MySpace, YouTube, Facebook, Flickr, Vimeo, Del.icio.us, Digg... Tutti fenomeni
sostenuti in maniera occulta dalla Corporation. Anche queste declinazioni
internettiane del reality show televisivo non sono più rappresentazioni ma mere
descrizioni della realtà, specialmente quella più insulsa, dozzinale,
squallida.”
Cominciavo a rendermi conto che quella follia aveva un metodo.
L’irrealtà del banale aveva vinto sull’irrealtà del soprannaturale. Il lusso del
futuro, pensai, sarà la possibilità di vivere la vita reale attraverso forme di
esperienza originali, eccitanti, strane, singolari. Ma soprattutto concrete,
tangibili, assaggiabili, odorabili, propriamente umane. Annichilito, rimasi in
silenzio.
“Ma il vero trionfo del digitale è l’affermazione del porno senza
grafia, fruibile ormai anche dal proprio salotto attraverso i canali
satellitari: gli odierni film porno sono presentazioni esplicite dei rapporti
sessuali, senza erotismo, senza magia, senza significato. Le vere protagoniste
non sono neppure più le pornostar, ma le casalinghe, le ragazze della porta
accanto. Più anonime sono, più successo hanno.”
“Si è realizzata la profezia
di Borges al contrario: Uqbar è stata invasa dal mondo reale e non viceversa.”,
riuscii a sussurrare.
“Allo stesso modo si è clamorosamente sbagliato
Baudrillard: il delitto perfetto lo ha perpetrato la realtà contro la fantasia.
Il virtualismo digitale ha semplicemente consentito di assistere alla
presentazione del reale senza andare a vedere sul posto. Ha eliminato il rischio
connesso all’esserci veramente. Ma anche al pensare veramente, che è sempre un
interpretare. Questo percepire senza esserci veramente definisce un mondo di
diniego nel quale ormai si cerca meno di vedere che di essere visti da tutti nel
medesimo istante secondo le medesime modalità. Si è così giunti all’affermazione
quasi definitiva del modus operandi dello scientific management, l’omologazione
coatta al Pensiero Unico, che ha avuto l’astuzia di usare gli strumenti
dell’Avversario, rivoltandoglieli contro”.
“Quasi?”…..
L’Episodio si
conclude descrivendo l’avvento dell’Organizational Storytelling, applicato da
Bush prima e da Obama poi per vincere le elezioni presidenziali negli USA, come
modalità definitiva scelta anche in azienda per l’affermazione di un modello di
pensiero omologante e univoco. Ciò che il romanzo non sottolinea (anche perché è
stato scritto un anno prima dell’affermazione di Obama) è che lo Storytelling
del nuovo Presidente degli Stati Uniti si è dimostrato vincente anche perché ha
saputo cogliere le potenzialità di Facebook nella narrazione della sua
particolare visione della storia e della società. La morale è chiara: nell’era
della convergenza e della crossmedialità, l’adozione del digitale come sistema
d’unificazione d’ogni descrizione del contenuto, la pratica di sinergie
crossmediali come moltiplicatore delle economie di scala ed infine
l’industrializzazione della convergenza sui terminali d’uso consentirà il
controllo totale sul pensiero, l’immaginazione, la creatività ed in ultima
analisi sulla realtà. Un controllo che nel mondo analogico era frammentato in
mille interruzioni, sia nella codifica del contenuto, sia nella manipolazione e
confezione, sia nella sua fruizione e che oggi invece è globale, totalizzante,
Unico.
Sotto questo profilo il Fenomeno Facebook è illuminante. In molti si
sono esercitati ad individuare le possibili ragioni del suo successo, ma di
certo il vantaggio competitivo fondamentale è stato dato dal fatto che con
Facebook si è passati dalla rappresentazione del sé sotto forme narrative
(nickname, avatar, false identità) alla rappresentazione del sé senza alcuna
mediazione interpretativa. Giustamente Francesco Morace in “Consum-Autori”,
sostiene che “il progetto digitale” che meglio rappresenta la generazione dei
20-35enni, definiti “individualisti, egocentrici, narcisisti e consumisti” è
appunto Facebook. Lo strumento che meglio di ogni altri ha saputo interpretare
la insopprimibile esigenza contemporanea dell”individualismo di massa”, può
venire sfruttato magnificamente da tutti coloro che, a vari livelli, hanno
interesse a mantenere quella che Bauman definisce la tendenza al totalitarismo
della modernità tradizionale, “solida”, in quanto “nemico giurato della
contingenza, della varietà, dell’ambivalenza” e che “riduce le attività umane a
movimenti semplici, standardizzati e in grande misura preprogrammati, da seguire
ubbidientemente e meccanicamente”.
Oggetto della critica è dunque il
paradigma imprenditoriale tradizionale, il cosiddetto scientific management, che
pur mostrandosi del tutto inadatto a offrire letture convincenti dell’impresa e
strumenti operativi efficaci per la sua conduzione, è diventato il paradigma
mentale che regola la gran parte delle relazioni sociali anche extra-aziendali.
Per usare un riferimento biblico utilizzato da Bauman, gli scientific manager
come molti “scientific politicians” agiscono ancora nell’ottica del “discorso di
Giosuè”, per cui il mondo è ”centralmente organizzato, rigidamente delimitato e
istericamente ossessionato dal creare confini impenetrabili”. Puntano
sull’affermazione di un modello basato sull’opposizione fra controllori e
controllati, nonché fra pianificazione e controllo, su comando ed esecuzione,
sulla divisione del lavoro fra funzioni, unità organizzative e singole “risorse”
umane, sulla competitività esasperata all’interno dell’impresa e sul mercato fra
le imprese stesse, sull’omologazione imposta all’unicità creativa. Appare
evidente la stridente inadeguatezza di un tale procedere al cospetto di un mondo
‘complesso’, liquido, in rapido e continuo mutamento nel tempo e nello spazio. E
vero che, ha scritto più recentemente lo stesso Bauman, si sta per certi versi
verificando “la rivoluzione manageriale, ‘fase due’, surrettiziamente condotta
all’insegna del ‘neoliberalismo’: i dirigenti sono passati dalla ‘regolazione
normativa’ alla ‘seduzione’, dal controllo quotidiano alle pubbliche relazioni,
dall’imperturbabile, iperregolato e routinario modello di potere panoptico, al
dominio esercitato attraverso l’incertezza diffusa e sfocata, attraverso la
precarietà e uno sconvolgimento incessante e scombinato della routine”. Ma il
problema è che “la fase due” della rivoluzione manageriale convive con la “fase
uno” sia pure in maniera schizofrenica, contradditoria, irrazionale. E poi, in
definitiva, le due “rivoluzioni” portano in sostanza al medesimo esito, la
scomparsa delle distinzioni, dunque delle diversità: l’una perché fondata sulla
one best way, l’altra perché fa dell’incertezza generale una notte in cui tutte
le vacche sono nere. E così accade specularmente in Facebook, dove, quando hai
raggiunto la mitica quota di 5.000 amici, ti domandi se ha ancora un senso
parlare di amicizia.
Se è vero che essere individuo equivale ad accettare una
responsabilità inalienabile per l’andamento e le conseguenze delle interazioni
sviluppate con gli altri, a partire da quelle amicali, è difficile non vedere
come l’esistenza contemporanea sia sempre più pericolosamente in bilico fra una
condizione di permanente connettività fra simulacri – tramite cellulari, e-mail,
chat e i social network come Facebook - ed una fruizione delle immagini create
dalle tecnologie della comunicazione che conduce al limite del solipsismo.
Tornano a noi, il punto allora diventa: è possibile un uso di Facebook
“analogico” e non “digitale”? Può essere Facebook uno strumento utile a
supportare le basi della piena auto-consapevolezza perché fondata sulla
relazione personale, diretta, intima e rinnovata ogni giorno con l’altro? Può
aiutare a ricostruire quello spazio necessario fra la realtà e la coscienza
individuale e collettiva, necessario per farvi risiedere e sviluppare lo spirito
critico, la creatività, l’innovazione? Come il Deckard del romanzo io voglio
sperare di si:
"Il soliloquio della Psicologa era ormai inarrestabile:
inondava l’ufficio, la Corporation, l’universo. Eppure da qualche parte, dentro
di me, restava l’incrollabile fiducia nella possibilità di dare un vero
significato alla identità molteplice ed in continua evoluzione dell’azienda
attraverso lo sviluppo di ogni singolo partecipante alla sua vita. Sapevo che la
ricerca di senso autentico è un bisogno inestirpabile dell’essere umano: come
dimostra l’evoluzione plurimillenaria della poesia, di tutte le discipline
artistiche, della filosofia, della teologia, della fantascienza. Se lo
scientific management è digitale, pensai, deve essere possibile uno humanistic
management analogico."
un dialogo fra la Psicologa Sintetica della omnipervasiva Corporation,
all’interno della quale è ambientato il romanzo, e il Direttore del Personale
Sam Deckard. La donna racconta delle battaglie che ha dovuto sostenere la
Corporation per mantenere la sua supremazia nel corso del tempo. Analogamente
alla “Teodora” de Le Città Invisibili di Italo Calvino (cui l’Episodio è
ispirato), assalita da condor, serpenti, mosche, termiti e tarli, la grande
azienda ha dovuto sgominare sempre nuovi nemici, ovvero modelli mentali ed
archetipi, che ne hanno minato le fondamenta.
Il Primo Nemico che la
Corporation ha dovuto affrontare è nato quando Magritte ha messo in evidenza la
necessità di uno spazio fra la realtà e la sua rappresentazione.
“Vede
Deckard -mi diceva, sferruzzando all’uncinetto mentre ondeggiava placidamente su
una sedia a dondolo- invasioni ricorrenti hanno travagliato la Corporation nei
secoli della sua storia; a ogni Nemico sgominato un altro prendeva forza e ne
minacciava la sopravvivenza. Naturalmente non parlo di aggressioni fisiche, ma
spirituali. Di modelli mentali, di schemi cognitivi, di archetipi che nel corso
del tempo hanno minato le fondamenta della nostra azienda. Uno degli assalti più
formidabili fu sferrato da Magritte. Tutti conosciamo quel dipinto che
rappresenta una pipa e in cui nello stesso tempo ci si dice: «Questa non è una
pipa». Veramente ha ragione il quadro: ciò che ha disegnato Magritte non è una
pipa, ma una sua rappresentazione.”
“Magritte indica lo spazio fra oggetto e
rappresentazione: lo spazio dell’arte.”
“Esatto. Capisce la pericolosità
dell’assunto. Se accettassimo anche in azienda l’idea che ogni procedura, ogni
best practice, ogni organigramma è interpretabile individualmente, dove andremmo
a finire? Sarebbe il caos”
“Dunque?”
La psicologa ribadisce il rischio
dell’interpretazione individuale nel contesto aziendale (metafora di quello
politico-sociale più ampiamente inteso), poiché se ogni organigramma, ogni best
practice, ogni ordine di servizio fosse suscettibile di valutazione e quindi di
critica da parte della singolarità, il modello “perfetto” ed univoco dello
scientific management su cui la Corporation si regge verrebbe messo in
discussione e la sua rigidità intrinseca si rivelerebbe fatale.
La soluzione
proposta dal fordismo che la Psicologa rappresenta è appunto quella di abbattere
il Nemico tramite il “real-time”, ossia la sincronizzazione del tempo che ha la
meglio sullo spazio dell’arte. La Corporation si propone di sovvenzionare
artisti a patto che le loro opere riproducano nei minimi particolari il reale.
Presentandolo senza rappresentarlo.
“Dunque la Corporation ha reagito
creando l’Istituto Mondiale per l’Arte Contemporanea. Grazie agli ingenti
investimenti profusi, l’Arte sostanziale di un tempo, che si esprimeva
attraverso l’architettura, la musica, la scultura, ha subito una progressiva
deriva verso un’Arte meramente accidentale che ha sconvolto le forme della
rappresentazione degli oggetti e dei fenomeni, a favore di una loro immediata
presentazione, in cui un tempo superficiale, il real time, sincronico ed
immediato, ha definitivamente la meglio sullo spazio, lo spazio profondo,
diacronico, sostanziale ed immaginario delle grandi opere d’arte, sia letterarie
che plastiche. Quando l’artista contemporaneo, da noi sovvenzionato, realizza,
poniamo, una still life della propria camera da letto non reinventandola
immaginificamente, come Van Gogh, ma riproducendola, con una installazione, nei
minimi dettagli, specie i più sordidi, uccide lo spazio della creatività.
Poiché, appunto, la presenta senza rappresentarla. Contribuisce così alla
affermazione di un modello mentale coerente con il dogmatismo monodimensionale
dello scientific management.”
Non potevo credere alle mie orecchie. Gettai
uno sguardo al manichino, quasi a verificare quale fosse la sua opinione circa
la sanità mentale dell’autrice di quelle poco sensate dichiarazioni. Immerso
nella vista degli edifici urbani che apparivano fuori dalla finestra, silenzioso
ed ineffabile, non mi sembrò propenso ad esprimersi in merito."
Il
Secondo è più potente Nemico della Corporation è sorto dall’affermazione della
New Economy prima e della Wikinomics, poi.
“Sgombrato il campo dall’Arte
Moderna, la Corporation dovette affrontare un nuovo nemico: l’avvento di
Intranet e della realtà virtuale. Imprevedibili nuovi spazi per l’espressione
personale e la fantasia si erano aperti. L’organizzazione del mondo, ovvero
della Corporation, per qualche attimo terribile, scricchiolò”.
Si interruppe.
Aveva finito la lana. Si alzò, aprì la vetrinetta di un armadio e afferrò un
gomitolo -‘o gnommero’, avrebbe detto mio nonno, che, secondo quanto raccontava
mio padre quando ero piccolo, usava assumerlo a mistico emblema del garbuglio
universale - che non era appoggiato ad alcun ripiano. “Dove sta il trucco?”, mi
chiesi, prima di accingermi ad ascoltare il seguito, per capire fino a che punto
la donna era andata fuori di testa.
Dopo essere tornata a sedere, riprese a
parlare. “Ma prendemmo ben presto le contromisure. Prima facemmo in modo che la
bolla della New Economy si gonfiasse a dismisura fino a scoppiare. Ecco il bel
risultato che si ottiene volendo guidare perdendo il controllo! Poi entrammo
direttamente in campo nemico. Cominciammo l’invasione dei mondi alternativi che
proliferavano in Rete. Già oggi, quelle che erano nate come realtà immaginarie,
sono sempre più riproduzioni digitali in scala 1:1 del nostro mondo. Ma
soprattutto stiamo brevettando un nuovo software che coniuga la potenza di
Google Earth e quella di una Playstation. Tramite questo software si può
entrare, poniamo, nel Taj Mahal, osservare i video professionali del 'National
Geographic' (o quelli dei turisti che lo hanno visitato), scoprire la storia nei
dettagli grazie a un collegamento diretto a Wikipedia e ad altri testi in
digitale 'caricati' accanto alle immagini (satellitari e non) del Taj Mahal.
Insomma, questo nuovo prodotto non permette solo di vedere i luoghi ma anche di
viverli”.
"E siamo solo agli inizi. Entro pochi anni nascerà qualcosa di
molto simile al Metaverso, descritto dallo scienziato Neil Stephenson nel saggio
'Snow Crash' del 1992, ormai un classico della letteratura tecnologica. Il
Metaverso era una città virtuale dalla dimensione di un pianeta, abitata da 120
milioni di avatar. Il mondo in 3D realizzato con il nostro nuovo software
richiamerà la visione prospettata da Stephenson, ma andrà anche assai oltre:
avrà lo stesso aspetto della realtà terrestre e funzionerà come piazza virtuale
e porta d'accesso per ogni tipo di informazioni. Sarà anche accessibile sia
attraverso le modalità immersive della realtà virtuale sia attraverso lo
'spioncino' dello schermo di un cellulare. In questo modo un avatar potrà
passeggiare tra le strade di Manhattan, assistere a un'opera all'interno della
riproduzione della Scala o aggirarsi per un safari nella savana insieme ad altri
avatar. Le Maldive saranno esplorabili dal divano di casa, così come gli scavi
di Pompei o il Louvre. Esperienze virtuali perfette, rappresentazioni identiche
in tutto e per tutto alla realtà diretta, lontane anni luce dalla irreale
grafica tridimensionale di adesso.”
“In uno scenario del genere, quindi, la
linea di separazione fra realtà e mondo virtuale sarà sempre più sottile.”
“Ambiti del Metaverso saranno sempre più strettamente ancorati alla vita
concreta del pianeta e riguarderanno tutte le attività. La gente si muoverà
senza soluzioni di continuità tra rappresentazioni del mondo vero e
rappresentazioni di mondi fantastici, fra i due, anzi, non ci sarà più
differenza”.
“State insomma eliminando il meraviglioso, l’immaginario,
l’onirico, il favoloso anche dagli schermi e dalle memorie dei computer.”
“Si, e per questo appoggiamo la deriva attuale del social networking:
MySpace, YouTube, Facebook, Flickr, Vimeo, Del.icio.us, Digg... Tutti fenomeni
sostenuti in maniera occulta dalla Corporation. Anche queste declinazioni
internettiane del reality show televisivo non sono più rappresentazioni ma mere
descrizioni della realtà, specialmente quella più insulsa, dozzinale,
squallida.”
Cominciavo a rendermi conto che quella follia aveva un metodo.
L’irrealtà del banale aveva vinto sull’irrealtà del soprannaturale. Il lusso del
futuro, pensai, sarà la possibilità di vivere la vita reale attraverso forme di
esperienza originali, eccitanti, strane, singolari. Ma soprattutto concrete,
tangibili, assaggiabili, odorabili, propriamente umane. Annichilito, rimasi in
silenzio.
“Ma il vero trionfo del digitale è l’affermazione del porno senza
grafia, fruibile ormai anche dal proprio salotto attraverso i canali
satellitari: gli odierni film porno sono presentazioni esplicite dei rapporti
sessuali, senza erotismo, senza magia, senza significato. Le vere protagoniste
non sono neppure più le pornostar, ma le casalinghe, le ragazze della porta
accanto. Più anonime sono, più successo hanno.”
“Si è realizzata la profezia
di Borges al contrario: Uqbar è stata invasa dal mondo reale e non viceversa.”,
riuscii a sussurrare.
“Allo stesso modo si è clamorosamente sbagliato
Baudrillard: il delitto perfetto lo ha perpetrato la realtà contro la fantasia.
Il virtualismo digitale ha semplicemente consentito di assistere alla
presentazione del reale senza andare a vedere sul posto. Ha eliminato il rischio
connesso all’esserci veramente. Ma anche al pensare veramente, che è sempre un
interpretare. Questo percepire senza esserci veramente definisce un mondo di
diniego nel quale ormai si cerca meno di vedere che di essere visti da tutti nel
medesimo istante secondo le medesime modalità. Si è così giunti all’affermazione
quasi definitiva del modus operandi dello scientific management, l’omologazione
coatta al Pensiero Unico, che ha avuto l’astuzia di usare gli strumenti
dell’Avversario, rivoltandoglieli contro”.
“Quasi?”…..
L’Episodio si
conclude descrivendo l’avvento dell’Organizational Storytelling, applicato da
Bush prima e da Obama poi per vincere le elezioni presidenziali negli USA, come
modalità definitiva scelta anche in azienda per l’affermazione di un modello di
pensiero omologante e univoco. Ciò che il romanzo non sottolinea (anche perché è
stato scritto un anno prima dell’affermazione di Obama) è che lo Storytelling
del nuovo Presidente degli Stati Uniti si è dimostrato vincente anche perché ha
saputo cogliere le potenzialità di Facebook nella narrazione della sua
particolare visione della storia e della società. La morale è chiara: nell’era
della convergenza e della crossmedialità, l’adozione del digitale come sistema
d’unificazione d’ogni descrizione del contenuto, la pratica di sinergie
crossmediali come moltiplicatore delle economie di scala ed infine
l’industrializzazione della convergenza sui terminali d’uso consentirà il
controllo totale sul pensiero, l’immaginazione, la creatività ed in ultima
analisi sulla realtà. Un controllo che nel mondo analogico era frammentato in
mille interruzioni, sia nella codifica del contenuto, sia nella manipolazione e
confezione, sia nella sua fruizione e che oggi invece è globale, totalizzante,
Unico.
Sotto questo profilo il Fenomeno Facebook è illuminante. In molti si
sono esercitati ad individuare le possibili ragioni del suo successo, ma di
certo il vantaggio competitivo fondamentale è stato dato dal fatto che con
Facebook si è passati dalla rappresentazione del sé sotto forme narrative
(nickname, avatar, false identità) alla rappresentazione del sé senza alcuna
mediazione interpretativa. Giustamente Francesco Morace in “Consum-Autori”,
sostiene che “il progetto digitale” che meglio rappresenta la generazione dei
20-35enni, definiti “individualisti, egocentrici, narcisisti e consumisti” è
appunto Facebook. Lo strumento che meglio di ogni altri ha saputo interpretare
la insopprimibile esigenza contemporanea dell”individualismo di massa”, può
venire sfruttato magnificamente da tutti coloro che, a vari livelli, hanno
interesse a mantenere quella che Bauman definisce la tendenza al totalitarismo
della modernità tradizionale, “solida”, in quanto “nemico giurato della
contingenza, della varietà, dell’ambivalenza” e che “riduce le attività umane a
movimenti semplici, standardizzati e in grande misura preprogrammati, da seguire
ubbidientemente e meccanicamente”.
Oggetto della critica è dunque il
paradigma imprenditoriale tradizionale, il cosiddetto scientific management, che
pur mostrandosi del tutto inadatto a offrire letture convincenti dell’impresa e
strumenti operativi efficaci per la sua conduzione, è diventato il paradigma
mentale che regola la gran parte delle relazioni sociali anche extra-aziendali.
Per usare un riferimento biblico utilizzato da Bauman, gli scientific manager
come molti “scientific politicians” agiscono ancora nell’ottica del “discorso di
Giosuè”, per cui il mondo è ”centralmente organizzato, rigidamente delimitato e
istericamente ossessionato dal creare confini impenetrabili”. Puntano
sull’affermazione di un modello basato sull’opposizione fra controllori e
controllati, nonché fra pianificazione e controllo, su comando ed esecuzione,
sulla divisione del lavoro fra funzioni, unità organizzative e singole “risorse”
umane, sulla competitività esasperata all’interno dell’impresa e sul mercato fra
le imprese stesse, sull’omologazione imposta all’unicità creativa. Appare
evidente la stridente inadeguatezza di un tale procedere al cospetto di un mondo
‘complesso’, liquido, in rapido e continuo mutamento nel tempo e nello spazio. E
vero che, ha scritto più recentemente lo stesso Bauman, si sta per certi versi
verificando “la rivoluzione manageriale, ‘fase due’, surrettiziamente condotta
all’insegna del ‘neoliberalismo’: i dirigenti sono passati dalla ‘regolazione
normativa’ alla ‘seduzione’, dal controllo quotidiano alle pubbliche relazioni,
dall’imperturbabile, iperregolato e routinario modello di potere panoptico, al
dominio esercitato attraverso l’incertezza diffusa e sfocata, attraverso la
precarietà e uno sconvolgimento incessante e scombinato della routine”. Ma il
problema è che “la fase due” della rivoluzione manageriale convive con la “fase
uno” sia pure in maniera schizofrenica, contradditoria, irrazionale. E poi, in
definitiva, le due “rivoluzioni” portano in sostanza al medesimo esito, la
scomparsa delle distinzioni, dunque delle diversità: l’una perché fondata sulla
one best way, l’altra perché fa dell’incertezza generale una notte in cui tutte
le vacche sono nere. E così accade specularmente in Facebook, dove, quando hai
raggiunto la mitica quota di 5.000 amici, ti domandi se ha ancora un senso
parlare di amicizia.
Se è vero che essere individuo equivale ad accettare una
responsabilità inalienabile per l’andamento e le conseguenze delle interazioni
sviluppate con gli altri, a partire da quelle amicali, è difficile non vedere
come l’esistenza contemporanea sia sempre più pericolosamente in bilico fra una
condizione di permanente connettività fra simulacri – tramite cellulari, e-mail,
chat e i social network come Facebook - ed una fruizione delle immagini create
dalle tecnologie della comunicazione che conduce al limite del solipsismo.
Tornano a noi, il punto allora diventa: è possibile un uso di Facebook
“analogico” e non “digitale”? Può essere Facebook uno strumento utile a
supportare le basi della piena auto-consapevolezza perché fondata sulla
relazione personale, diretta, intima e rinnovata ogni giorno con l’altro? Può
aiutare a ricostruire quello spazio necessario fra la realtà e la coscienza
individuale e collettiva, necessario per farvi risiedere e sviluppare lo spirito
critico, la creatività, l’innovazione? Come il Deckard del romanzo io voglio
sperare di si:
"Il soliloquio della Psicologa era ormai inarrestabile:
inondava l’ufficio, la Corporation, l’universo. Eppure da qualche parte, dentro
di me, restava l’incrollabile fiducia nella possibilità di dare un vero
significato alla identità molteplice ed in continua evoluzione dell’azienda
attraverso lo sviluppo di ogni singolo partecipante alla sua vita. Sapevo che la
ricerca di senso autentico è un bisogno inestirpabile dell’essere umano: come
dimostra l’evoluzione plurimillenaria della poesia, di tutte le discipline
artistiche, della filosofia, della teologia, della fantascienza. Se lo
scientific management è digitale, pensai, deve essere possibile uno humanistic
management analogico."
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