Consumiamo poca tecnologia eppure siamo il mercato con la maggiore penetrazione
di cellulari. Abbiamo un territorio
straordinario ma non sappiamo sfruttarlo dal punto di vista turistico. Da
qualche anno stiamo vivendo anche un altro paradosso. Quello dell'Rfid. È questa
l'idea di Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia all'Università
Bocconi di Milano e da anni esperto delle tecnologie di identificazione a
radiofrequenza. Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata telefonica sullo
stato dell'arte del mercato italiano dell'Rfid a un anno dalla liberalizzazione delle frequenze Uhf
Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia all'Università Bocconi di
Milano nella intervista su lineaEdp
Professor Maffè cosa intende quando parla di paradosso
dell'Rfid italiano?
“Intendo dire
che siamo il paese che beneficerebbe di più da un impiego più capillare
dell'Rfid eppure la struttura delle nostre filiere non rende semplice la sua
adozione”.
Come
mai?
“Il perché è semplice. Abbiamo
delle filiere lunghissime e questo fa capire come una maggiore automazione
porterebbe dei vantaggi a tutti gli stakeholder. Ma è proprio questa lunghezza a
complicare il tutto: sono tanti gli attori da coinvolgere e il più delle volte
sono piccole aziende”.
C'è anche una paura da parte delle imprese a rilevare le proprie
informazioni all'esterno?
“Più che
di paura, parlerei di prudenza. Per carità si tratta di una prudenza legittima,
anche perché spesso le imprese non riescono a vedere i vantaggi dell'Rfid. E poi
perché la maggior parte delle aziende è confusa sugli investimenti di medio
lungo periodo; si ragiona solo in termini di tempi brevi e questo non aiuta
l'Rfid che mediamente genera benefici nell'arco di tre/cinque anni”.
Se l'Rfid non ha ancora
decollato è dunque colpa solo delle imprese?
“Assolutamente no. Anche le autorità pubbliche ci hanno messo
del loro”.
Eppure si
pensava che con la liberalizzazione delle frequenze Uhf dello scorso anno si
sarebbero ottenuti maggiori vantaggi...
“Il problema di quella liberalizzazione è che si è trattata di
una finta liberalizzazione. Consentire l'uso delle Uhf, ma limitandone la
potenza, non aiuta il mercato dell'Rfid. È come se si permettesse l'utilizzo dei
tir ma esclusivamente dentro i parcheggi dei magazzini aziendali. Questo ha
portato a una serie di effetti negativi”.
Per esempio?
“Il proseguimento di progetti pilota e prototipi che hanno due
caratteristiche deleterie per l'Rfid: costi alti e scarsa replicabilità. Al
contrario, l'Rfid vivrà un vero e proprio successo quando i progetti avranno
un'alta replicabilità e correranno lungo tutta una filiera (dal fornitore di
materie prime fino al consumatore) senza subire stop in fasi intermedie”.
Come giudica invece la
politica della Commissione Europea?
“Anche qui non tutto sta filando liscio. La politica europea è
infatti fortemente proibizionista per paura di rischi per la salute e per la
privacy”.
Non
esistono questi pericoli?
“Secondo
me, no. Mi sembrano solo dei palliativi per prendere tempo. Sulla privacy, per
esempio, tutti abbiamo delle carte fedeltà che teoricamente creano gli stessi
problemi di riservatezza dei tag Rfid. Ma nessuno se ne preoccupa”.
Qual è dunque la ricetta
per liberare le potenzialità delle tecnologie Rfid?
“Sono tre le cose devono accadere. Prima: un quadro regolatorio
aperto (l'onere della prova di un eventuale rischio deve spettare allo Stato e
non alle aziende) e stabile, cioè che non cambi norme a seconda del colore del
governo in carica. Inoltre bisogna assicurare degli incentivi alle tecnologie di
filiera. In questo senso lo scorso governo con il ministro Bersani e il piano
“Industria 2015” andava nella direzione giusta. Seconda: la cultura aziendale
deve cambiare e orientarsi più al processo anziché solo al prodotto. Infine va
sviluppato un mercato delle informazioni che devono avere un valore di mercato,
per esempio garantendo delle agevolazioni ai fornitori che le condividono”.
Tutti aspetti di non
facile attuazione. Crede quindi davvero nello sviluppo di un mercato importante
per l'Rfid?
“Certo, sono ottimista.
E il motivo è semplice: la tecnologia c'è ed è qui per restare. L'unica
incognita è quando e come esploderà. Si pensi, per esempio, alle potenzialità
dell'Nfc. Tutti, quando parlano di Rfid, pensano immediatamente ai tag, ma non
si va da nessuna parte se non abbiamo i lettori. L'Nfc potrebbe superare questo
problema mettendo un reader in ogni telefonino. Ripeto, quindi: non si
sa quando e come esploderà il mercato dell'Rfid. Ma di sicuro accadrà. E allora
solo le realtà che si faranno trovare pronte avranno dei vantaggi
competitivi”.
di cellulari. Abbiamo un territorio
straordinario ma non sappiamo sfruttarlo dal punto di vista turistico. Da
qualche anno stiamo vivendo anche un altro paradosso. Quello dell'Rfid. È questa
l'idea di Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia all'Università
Bocconi di Milano e da anni esperto delle tecnologie di identificazione a
radiofrequenza. Lo abbiamo raggiunto per una chiacchierata telefonica sullo
stato dell'arte del mercato italiano dell'Rfid a un anno dalla liberalizzazione delle frequenze Uhf
Carlo Alberto Carnevale Maffè, docente di strategia all'Università Bocconi di
Milano nella intervista su lineaEdp
Professor Maffè cosa intende quando parla di paradosso
dell'Rfid italiano?
“Intendo dire
che siamo il paese che beneficerebbe di più da un impiego più capillare
dell'Rfid eppure la struttura delle nostre filiere non rende semplice la sua
adozione”.
Come
mai?
“Il perché è semplice. Abbiamo
delle filiere lunghissime e questo fa capire come una maggiore automazione
porterebbe dei vantaggi a tutti gli stakeholder. Ma è proprio questa lunghezza a
complicare il tutto: sono tanti gli attori da coinvolgere e il più delle volte
sono piccole aziende”.
C'è anche una paura da parte delle imprese a rilevare le proprie
informazioni all'esterno?
“Più che
di paura, parlerei di prudenza. Per carità si tratta di una prudenza legittima,
anche perché spesso le imprese non riescono a vedere i vantaggi dell'Rfid. E poi
perché la maggior parte delle aziende è confusa sugli investimenti di medio
lungo periodo; si ragiona solo in termini di tempi brevi e questo non aiuta
l'Rfid che mediamente genera benefici nell'arco di tre/cinque anni”.
Se l'Rfid non ha ancora
decollato è dunque colpa solo delle imprese?
“Assolutamente no. Anche le autorità pubbliche ci hanno messo
del loro”.
Eppure si
pensava che con la liberalizzazione delle frequenze Uhf dello scorso anno si
sarebbero ottenuti maggiori vantaggi...
“Il problema di quella liberalizzazione è che si è trattata di
una finta liberalizzazione. Consentire l'uso delle Uhf, ma limitandone la
potenza, non aiuta il mercato dell'Rfid. È come se si permettesse l'utilizzo dei
tir ma esclusivamente dentro i parcheggi dei magazzini aziendali. Questo ha
portato a una serie di effetti negativi”.
Per esempio?
“Il proseguimento di progetti pilota e prototipi che hanno due
caratteristiche deleterie per l'Rfid: costi alti e scarsa replicabilità. Al
contrario, l'Rfid vivrà un vero e proprio successo quando i progetti avranno
un'alta replicabilità e correranno lungo tutta una filiera (dal fornitore di
materie prime fino al consumatore) senza subire stop in fasi intermedie”.
Come giudica invece la
politica della Commissione Europea?
“Anche qui non tutto sta filando liscio. La politica europea è
infatti fortemente proibizionista per paura di rischi per la salute e per la
privacy”.
Non
esistono questi pericoli?
“Secondo
me, no. Mi sembrano solo dei palliativi per prendere tempo. Sulla privacy, per
esempio, tutti abbiamo delle carte fedeltà che teoricamente creano gli stessi
problemi di riservatezza dei tag Rfid. Ma nessuno se ne preoccupa”.
Qual è dunque la ricetta
per liberare le potenzialità delle tecnologie Rfid?
“Sono tre le cose devono accadere. Prima: un quadro regolatorio
aperto (l'onere della prova di un eventuale rischio deve spettare allo Stato e
non alle aziende) e stabile, cioè che non cambi norme a seconda del colore del
governo in carica. Inoltre bisogna assicurare degli incentivi alle tecnologie di
filiera. In questo senso lo scorso governo con il ministro Bersani e il piano
“Industria 2015” andava nella direzione giusta. Seconda: la cultura aziendale
deve cambiare e orientarsi più al processo anziché solo al prodotto. Infine va
sviluppato un mercato delle informazioni che devono avere un valore di mercato,
per esempio garantendo delle agevolazioni ai fornitori che le condividono”.
Tutti aspetti di non
facile attuazione. Crede quindi davvero nello sviluppo di un mercato importante
per l'Rfid?
“Certo, sono ottimista.
E il motivo è semplice: la tecnologia c'è ed è qui per restare. L'unica
incognita è quando e come esploderà. Si pensi, per esempio, alle potenzialità
dell'Nfc. Tutti, quando parlano di Rfid, pensano immediatamente ai tag, ma non
si va da nessuna parte se non abbiamo i lettori. L'Nfc potrebbe superare questo
problema mettendo un reader in ogni telefonino. Ripeto, quindi: non si
sa quando e come esploderà il mercato dell'Rfid. Ma di sicuro accadrà. E allora
solo le realtà che si faranno trovare pronte avranno dei vantaggi
competitivi”.
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